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Epatite autoimmune in età pediatrica

Informazioni anche per i pazienti adulti

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    Si continua il viaggio nelle patologie pediatriche.

    Tali informazioni sono valide anche per i pazienti adulti.

    "In età pediatrica l’epatite autoimmune (EAI) si caratterizza per una flogosi epatica cronica che interessa soprattutto l’epatocita. La fibrosi epatica che ne consegue è progressiva e giunge rapidamente, senza trattamento, alla cirrosi. EAI viene suddivisa in due sottotipi che presentano peculiarità specifiche.L’EAI tipo 1 interessa in egual misura tutte le età e si presenta prevalentemente con un quadro di epatopatia cronica, frequentemente già evoluta in cirrosi.Gli autoanticorpi caratterizzanti sono l’antinucleo (ANA) e l’anti muscolo liscio (SMA), usualmente ad alto titolo (> 1:100). L’EAI tipo 2 predilige il bambino più piccolo, tende a manifestare un andamento altamente fluttuante e ha il suo esordio con un quadro di insufficienza epatica acuta senza segni di cronicità.Questa forma è caratterizzata dalla presenza dell’anticorpo anti microsomi di fegato e di rene tipo 1 (LKM-1) e dall’anti citosol epatico (LC1).
    La diagnosi si fonda su un insieme di elementi clinici e sul riscontro del tipico quadro istologico di epatite d’interfaccia con massiccia infiltrazione portale di elementi mononucleati e plasmacelule. Il trattamento convenzionale con steroidi ed azatioprina è altamente efficace ma deve essere protratto a lungo prima di tentare una sospensione.
    La ciclosporina come farmaco alternativo è parimenti efficace ed ormai sufficientemente radicato nella pratica clinica.Le malattie autoimmuni del fegato sono malattie infiammatorie di causa sconosciuta che, di norma, evolvono spontaneamente, attraverso la necrosi del parenchima epatico, verso la cirrosi .Sono caratterizzate istologicamente dalla presenza di un infiltrato infiammatorio che varia qualitativamente in funzione delle fasi di malattia e che interessa il lobulo nelle sue fasi più precoci e lo spazio portale in quelle più tardive. Tipico e quasi costante è il riscontro di autoanticorpi organo e non-organo specifici.
    Ci sono almeno tre principali malattie epatiche nell’uomo in cui il danno epatico è ritenuto essere causato da un meccanismo autoimmune: l’epatite autoimmune (EAI) in cui il bersaglio dell’attacco è l’epatocita e due altre condizioni, la colangite autoimmune e la cirrosi biliare primitiva (eccezionale in età pediatrica) in cui il bersaglio è invece il colangiocita.L’EAI è una malattia rara, presente in ogni razza e in ogni regione geografica, ma con ampia variabilità di prevalenza. I dati disponibili riguardano l’adulto europeo (1:10.000) , tuttavia il carattere insidioso della malattia suggerisce una prevalenza assai maggiore.
    Entrambi i sessi possono essere affetti ad ogni età della vita con una netta predilezione per il sesso femminile (rapporto F/M che da 3: 1 arriva fino a 9: 1 in alcune casistiche) e con un picco di incidenza di esordio in età prepuberale. Anche se l’EAI può esordire ad ogni età, più della metà dei casi sono diagnosticati durante l’infanzia e l’adolescenza. L’EAI è una malattia multifattoriale. Si postula che fattori ambientali inneschino, in individui geneticamente predisposti, una risposta inappropriata e duratura verso uno o più autoantigeni. Molta attenzione è stata posta su meccanismi di mimetismo molecolare tra porzioni proteiche di virus quali HBV, HCV, CMV e HSV e proteine presenti nell’epatocita. L’autoantigene è in generale un piccolo peptide di 13-23 residui aminoacidici, prodotto finale di un processo di internalizzazione e parziale digestione di proteine extracellulari che avviene in cellule specificamente incaricate del ruolo (antigen presentino cell). Queste cellule presentano il peptide ai linfociti T CD4+ tramite molecole di HLA di classe II esposte alla loro superficie. La molecola DR, appartenente alla famiglia di recettori HLA-II è formata da due catene polipeptidiche DR alfa e DR beta, che compongono l’eterodimero DR. Gli alleli del locus DR sono altamente polimorfi e questo fa sì che ogni individuo esprima molecole DR con differenti affinità di legame.

    Da ciò consegue come la capacità di alcuni auto antigeni di innescare la risposta immune sia geneticamente determinata e dipenda strettamente dall’assetto genetico dell’HLA di classe II .

    Substrato genetico.

    Gli alleli HLA associati ad un aumentato rischio di malattia variano secondo le differenti zone geografiche. Nella popolazione Caucasica la presenza dell’aplotipo HLA A1-B8-DR3 è strettamente associata all’EAI -1. Gli alleli DRB1*0301 e DRB1*0401 sono specifici fattori di rischio; entrambi condividono una lisina in posizione 71 e la sequenza LLEQKR in posizione 67-72. In Sud America e in Giappone, analoghi studi di associazione hanno sottolineato il ruolo, rispettivamente, del dimorfismo valina/glicina in posizione 86, e dell’istidina nella posizione 13 del polipeptide DRB1. Questi cluster di associazione possono essere condizionati dai differenti fattori ambientali presenti nelle diverse aree geografiche. Nel bambino i dati sono scarsi: in Europa è riconosciuto uno specifico ruolo di suscettibilità all’allele DR3 (DRB1*0301) e al DR52a (DRB3*0101), mentre in Argentina è piuttosto il DR6 (DRB1*1301) a rappresentare il principale allele di suscettibilità, con un ruolo più limitato per il DR3 (DRB1*0301), mentre il HLA DRB1*1302, che differisce per un solo residuo aminoacidico, esercita al contrario, un debole ruolo protettivo.

    Autoantigeni.
    L’autoantigene maggiormente accreditato di un ruolo patogenetico sembra essere il recettore della asialoglicoproteina (ASGP-R) per l’EAI-1 e il citocromo P450 2D6 (CYP2D6) per l’EAI- 2. ASGP-R è una molecola organo-specifica con sede nella membrana dell’epatocita e con prevalente espressione periportale. Linfociti T di pazienti con EAI hanno una risposta proliferativa se posti in coltura con ASGP-R umano purificato e inducono linfociti B autologhi a produrre autoanticorpi anti-ASGP-R. Numerose isoforme del citocromo (CYP) P450 sono espresse nel tessuto epatico: il bersaglio della risposta autoimmune nell’EAI-2 è il CYP2D6, un enzima intracellulare attivo nella detossificazione di numerosi farmaci. Tramite stimolazione con specifiche citochine è possibile far esprimere il CYP2D6 sulla membrane dell’epatocita rendendolo quindi un bersaglio accessibile per i linfociti T autoreattivi (Muratori et al., 2000). Inoltre vi è la dimostrazione che l’immunizzazione nel topo con CYP2D6 umano possa indurre danno epatico.
    La risposta autoimmune come difetto della regolazione della risposta immune.Elevati titoli anticorpali nei confronti di antigeni microbici sono presenti in pazienti con EAI. Questo difetto non-antigene-specifico, egualmente presente nei parenti di primo grado, è correggibile in vivo e in vitro, da dosi farmacologiche di corticosteroidi. Una specifica popolazione di linfociti T CD4+ che esprimono il recettore per l’interleuchina 2 noti come cellule T regolatorie CD25+ appaiono difettivi nei pazienti con EAI, sia dal punto di vista numerico che funzionale. La capacità di inibire la proliferazione di linfociti T tramite la secrezione di citochine immunoregolatori quali l’interleuchina 10 e la proprietà di regolare l’attivazione dei monociti appare infatti ridotta.

    Manifestazioni cliniche

    L’EAI-1 è caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi anti-muscolo liscio (SMA) e/o anti-nucleari (ANA) , Maggiore, l’EAI-2 dalla presenza di anticorpi anti-microsoma di,fegato e di rene (LKM-1) e/o anti-citosol epatico.Le due forme differiscono per alcuni elementi specifici:

    • L’EAI-2 è una malattia che ha come bersaglio esclusivo l’epatocita,(è la vera epatite autoimmune!). Nell’EAI-1 può essere presente una reattività tissutale, di grado variabile, nei confronti del colangiocita.

    • L’EAI-1 è presente sia in età adulta che in quella pediatrica, mentre l’EAI-2 è quasi esclusivamente una malattia pediatrica;

    • I pazienti con EAI-2 hanno un esordio ad una età significativamente inferiore rispetto all’EAI-1;

    • L’ipergammaglobulinemia è tipica e talora marcata nella EAI-1, mentre è assai moderata e occasionalmente assente nella EAI-2;

    • L’EAI-1 ha una attività di malattia generalmente costante mentre il tipo 2 progredisce piuttosto per “ondate” di necrosi, che di solito hanno fasi anche prolungate di remissione spontanea. Nonostante queste differenze la risposta al trattamento immunosoppressivo non differisce nei due tipi di EAI. Nel 10% circa delle epatiti croniche criptogeniche, tuttavia, nonostante le caratteristiche cliniche ed istologiche e la risposta al trattamento immunosoppressivo siano sovrapponibili ad una EAI, nessun autoanticorpo organo o non organo specifico è identificabile. Questa entità denominata “Epatite autoimmune sieronegativa” rappresenta un ulteriore fenotipo di EIA il cui riconoscimento è di fondamentale importanza per le implicazioni terapeutiche.

    Le più comuni modalità di esordio della EAI sono:

    Epatite acuta.
    È la tipologia di esordio più comune, apparentemente indistinguibile da una epatite acuta virale con malessere, nausea, anoressia, vomito, dolore addominale seguito dalla comparsa di ittero generalizzato, urine scure e feci decolorate. Alcuni pazienti, in particolare con EAI-2 possono esordire con un quadro di insufficienza epatica acuta con encefalopatia ;

    • Esordio insidioso con malessere ed ittero ingravescente.
    È una modalità di esordio che concerne circa un terzo dei pazienti; è caratterizzata da astenia, perdita di peso ed ittero, ora ingravescente, ora a carattere recidivante con fasi di miglioramento spontaneo, su un quadro di epatite cronica di fondo testimoniato dalla presenza di un’epato e/o splenomegalia di consistenza aumentata/dura;

    • Esordio fortuito.
    Dal 10 al 15% dei pazienti può essere completamente asintomatico. La malattia epatica può essere evidenziata dal riscontro occasionale di un’epatomegalia dura eventualmente associata ad una splenomegalia, di una splenomegalia isolata o di un aumento delle aminotransferasi;

    • Esordio con sintomi correlati ad una complicanza della malattia epatica.
    Raramente l’EAI può decorrere in maniera talmente insidiosa da esordire con una complicanza di una malattia epatica già evoluta in cirrosi quale un’ascite o una emorragia digestiva da varici esofagee secondarie ad una ipertensione portale;

    • Esordio con sintomi di una patologia autoimmune associata.
    Una patologia extraepatica di natura autoimmune o comunque immunomediata è presente in circa un terzo dei pazienti con EAI . Studi recenti hanno inoltre sottolineato la strette interazione con la malattia celiaca nel bambino, con una prevalenza di malattia celiaca intorno al 15% dei casi delle epatopatie autoimmuni.

    Aspetti bioumorali

    Eccetto la presenza di specifici autoanticorpi caratterizzanti le due forme di EAI, le anomalie di laboratorio che si riscontrano nell’EAI sono aspecifiche. Le aminotransferasi nel siero sono quasi costantemente elevate in assenza di trattamento, le gammaglutamil traspeptidasi (GGT) invece, sono quasi costantemente normali nella EIA-2 e nella EIA-1 con lesioni biliari minime . È presente inoltre ipergammaglobulinemia, talora marcata, prevalentemente di classe IgG, in oltre l’80% dei pazienti. Questo aumento può non ritrovarsi nelle EAI-2 e comunque negli esordi acuti. È frequente un difetto parziale o completo di IgA seriche così come una riduzione geneticamente determinata dei livelli di C4, più spesso nelle EAI-2.

    Autoanticorpi.

    La presenza di autoanticorpi è un rilevante aiuto nella diagnosi di EAI. La metodica di scelta per la loro identificazioneè l’immunofluorescenza (IF), metodica sfortunatamente trascurata perché richiede la disponibilità di medici e tecnici di laboratorio esperti e competenti e comporta quindi costi più elevati dei metodi
    immunoenzimatici. La presenza di ANA e/o di SMA identificano la EAI-1, specialmente se presenti ad titolo elevato (≥ 1:100). Gli SMA riconoscono antigeni strutturali del citoscheletro quali actina, desmina e troponina. La reattività SMA dell’EAI è tipicamente diretta nei confronti della actina filamentosa (F-actina). La reattività ANA ha svariati aspetti in IF:omogenea, (60%), punteggiata (speckled) (15-25%) e mista. In ragione della bassa specificità riteniamo che nella pratica clinica debbano essere considerate significative diluizioni di almeno 1:100. Gli anti-LKM1 fanno parte di un eterogeneo gruppo di reattività antimicrosomiali e caratterizzano l’EAI-2 . Il quadro caratteristico in IF è la colorazione diffusa degli epatociti e dei tubuli prossimali (nella porzione più distale) di tessuto di ratto. Il bersaglio è un antigene di 50 kDa successivamente identificato come CYP2D6 L’anticorpo anti citosol epatico (LC1) è un autoanticorpo organo-specifico la cui presenza caratterizza egualmente l’EIA-2 ma può essere anche presente in maniera). L’LC1 riconosce un antigene epatico di 58 62 kDa successivamente identificato nella formiminotransferasi ciclodeaminasi .In entrambe le orme si possono ritrovare altri autoanticorpi menospecifici quali gli anticorpi anti-recettore della asialoglicoproteina (ASGP-R), gli anti-SLA (antigene epatico solubile) o gli ANCA (anticitoplasma dei neutrofili).mLa reattività autoanticorpale tende in generale a fluttuare nel corso del trattamento, riducendosi fino a scomparire in corso di remissione e ricomparendo in caso di recidiva. Tuttavia lo stato autoanticorpale e il suo titolo non coincide necessariamente con lo stato di remissione bioumorale o istologica, né è predittiva di ricaduta o di remissione sostenuta, né infine elevati titoli all’esordio identificano pazienti a rischio prognostico elevato o con peculiari necessità terapeutiche.

    Aspetti istologici

    La biopsia epatica ha un ruolo rilevante nella diagnosi di EAI specialmente in caso di esordio acuto e nella forma sieronegativa. Il quadro istologico che identifica l’EAI è l’“epatite di interfaccia” definita dalla presenza di un denso infiltrato infiammatorio nello spazio portale costituito da linfociti T e NK, da plasmacellule e da macrofagi attivati che, erodendo la lamina limitante, tendono ad invadere il parenchima circostante (piecemeal necrosis) e circondano epatociti in apoptosi. La presenza di plasmacellule è ritenuta indispensabile per la diagnosi di EAI. Un numero non trascurabile di polimorfo nucleati eosinofili può talora essere presente nell’infiltrato portale particolarmente nei casi di EAI associati a celiachia).Nella forma acuta di EAI la lesione centrolobulare è predominante, talora associata ad un collasso della trama reticolare. In queste circostanze gli elementi eventualmente suggestivi di una patogenesi autoimmune sono: la presenza di una necrosi epatica massiva/sub massiva ); la presenza di follicoli linfoidi negli spazi portale; un infiltrato prevalentemente plasma cellulare associato ad una perivenulite entrale. La reazione proliferativa duttulare è considerata una risposta proliferativa reattiva al danno necrotico quindi di tipo rigenerativo a partire da cellule epatiche progenitrici. La presenza di un danno infiammatorio biliare non è tipica dell’EAI ma può essere osservata in forma limitata in circa il 25% dei casi.

    Diagnosi

    La diagnosi di EAI in età pediatrica può essere semplice se tutti i principali elementi che la caratterizzano sono presenti. In caso contrario la diagnosi può essere difficile e risulta da una combinazione di criteri clinici, sierologici ed istologici e dall’esclusione di criteri clinici, sierologici ed istologici e dall’esclusione di epatopaitie ad etiologia nota eventualmente compatibili con il quadro clinico,come una infezione da virus epatotropi o una malattia di Wilson.Anche se non esistono aspetti istologici patognomonici, una valutazione dell’istologia epatica è obbligatoria se l’emostasi lo permette.La risposta al trattamento immunosoppressivo specialmente in caso di forme sieronegative, rappresenta un ulteriore e rilevante elemento suggestivo per la diagnosi. A supporto del clinico, un gruppo di esperti internazionali ha validato, nell’adulto, uno score diagnostico, successivamente semplificato , che si è dimostrato sufficentemente sensibile (88%) e specifico (97%).
    Questo punteggio diagnostico è applicabile anche in pediatria avendo cura, però, di utilizzare l’attività delle GGT al posto della fosfatasi alcalina per identificare con maggiore specificità i pazienti da sottoporre ad un imaging biliare . La presenza infatti alla colangio-RM o alla colangiografia endoscopica per via retrograda di quadri di colangiopatia potrebbe suggerire la diagnosi alternativa di sindrome da overlap epatite autoimmune/ colangite sclerosante autoimmune.
    epatiteautoimmune001
    Qui sopra si osserva Necrosi panlobulare con infiltrato infiammatorio polimorfo caratterizzato dalla presenza di linfociti CD3 + e CD20+plasmacellule, polimorfo nucleati eosinofili e neutrofili, in una paziente con EAI-1 con esordio acuto e marcata ipergammaglobulinemia.

    Trattamento

    Il trattamento medico delle EAI è di tipo immunosoppressivo. La risposta al trattamento dipende dalla gravità della malattia all’esordio. Il trattamento definito “convenzionale” utilizza il prednisone o il prednisolone,
    inizialmente in monoterapia o in associazione con l’azatioprina. Il corticosteroide 60 mg/die nell’adolescente e l’azatioprina alla dose iniziale di 1 mg/kg/ die fino ad una dose massima di 2.5 mg/kg/die. E’ preferibile comunque il trattamento combinato dei due farmaci fin dall’esordio per l’effetto “risparmiatore di steroidi” della azatioprina .

    Remissione iniziale.

    L’obiettivo del trattamento è di indurre una rapida e completa remissione dei sintomi e dei segni clinici di epatopatia e della attività biochimica di malattia. Il trattamento produce una “misurabile” risposta clinica bioumorale in 6-10 settimane . Ottenuta una risposta sostanziale, si comincia a ridurre la dose del prednisone anche se una completa normalizzazione dei parametri bioumorali può completarsi anche in alcuni mesi. Esistono differenti schemi e modalità di riduzione delle dosi di steroide che dovrebbero essere il più possibile personalizzati in relazione alle caratteristiche del paziente. Il passaggio della corticoterapia a giorni alterni è possibile nella quasi totalità dei pazienti e auspicabile per la minore incidenza di effetti collaterali della corticoterapia in particolare per quanto attiene ai problemi di crescita . Anche i pazienti che esordiscono con una grave insufficienza epatocellulare, rispondono in oltre il 90% dei casi ed in egual modo, sia ad una monoterapia a 2 mg/kg di prednisone che all’associazione di prednisone 1 mg/kg, fino a 40 mg/die, e ciclosporina con una ciclosporinemia bersaglio di 200 ± 50 ng/mL .
    Nel 10% dei casi che rispondono scarsamente al trattamento, può essere tentata come trattamento di salvataggio una associazione di prednisone, ciclosporina ed eventualmente di micofenolato mofetile
    (MMF) anche se va considerato con attenzione il rischio di infezioni gravi. Una mancata risposta al trattamento deve far immediatamente considerare l’opzione di un trapianto di fegato in urgenza.

    Risposta sostenuta.

    Una volta indotta la remissione, che comporta la rigorosa normalità delle amino transferasi e dei livelli di immunoglobuline IgG, l’obiettivo della terapia diventa quello di mantenere una remissione persistente e di prevenire eventuali ricadute. Il prednisone sarà progressivamente ridotto fino a raggiungere la più bassa dose compatibile con una completa remissione clinica e bioumorale. Se una remissione debba necessariamente essere documentata istologicamente è un argomento dibattuto. La remissione istologica non è infatti predittiva di assenza di recidive. La valutazione quantitativa della fibrosi può essere effettuata in maniera meno invasiva con una misurazione dell’elastometria epatica. La fibrosi epatica progredisce solo in una minoranza di pazienti che sono aderenti al trattamento e che mantengono una remissione persistente.

    Durata del trattamento.

    Non esistono dati certi sulla durata ottimale del trattamento immunosoppressivo nei pazienti con EAI. Una recidiva può insorgere, anche in assenza di fattori scatenanti, in ogni momento.Il rischio è molto elevato in caso di una durata di trattamento inferiore ai 2 anni. La principale causa di recidiva nell’adolescente è una inadeguata aderenza al trattamento. Se poi anche la recidiva meriti una valutazione bioptica è egualmente dibattuto.L’esperienza attuale suggerisce che un trattamento immunosoppressivo debba produrre almeno cinque anni di remissione completa prima di tentarne la sospensione. In caso di trattamento convenzionale combinato si provvederà a sospendere completamente il prednisone nel corso del terzo-quarto anno di remissione per mantenere il paziente in monoterapia con azatioprina almeno per un altro anno. Il trattamento non andrà sospeso durante la fase di spurt puberale. Una assenza di autoanticorpi non è predittiva di assenza di recidiva, tuttavia un significativo incremento del titolo autoanticorpale deve essere considerato con cautela in ogni fase di riduzione della terapia.

    Effetti collaterali.

    Sono frequenti e prevalentemente dovuti ai corticosteroidi che producono iperfagia ed aumento di peso e rallentamento della crescita staturale. Complicanze più gravi, legate all’uso di dosi elevate e per periodi protratti, includono: obesità, grave ritardo di crescita, cataratta responsabile di riduzione del visus, collasso vertebrale,iperglicemia, psicosi e gravi conseguenze estetiche legati al prodursi di strie cutanee cicatriziali. Queste complicanze sono più rare nei centri con maggiore esperienza nel trattamento delle epatopatie autoimmuni. L’azatioprina è raramente responsabile di effetti secondari gravi, ma lo sviluppo di una linfopenia necessita una riduzione della dose del farmaco. Nell’uomo, una teratogenicità della azatioprina non è dimostrata con sicurezza, tuttavia, in caso di inizio di un trattamento nell’adolescente fertile dovrebbe essere esclusa una condizione di gravidanza. Più di 200 gravidanze sono riportate in pazienti con EAI e un progetto di gravidanza sembra realistico in pazienti con EAI in remissione farmacologica. L’utilizzo di basse dose di steroidi è preferibile, anche se l’azatioprina sembra nuocere né alla madre né al bambino .

    Terapie farmacologiche alternative.

    Una parziale o incompleta risposta al trattamento convenzionale, il rifiuto o la comparsa di gravi effetti collaterali dei corticosteroidi costituiscono una chiara indicazione all’uso di trattamenti alternativi ed in particolare della Ciclosporina (CSA). La CSA in monoterapia è stata dimostrata efficace nell’indurre in remissione pazienti con entrambi i tipi di EAI . Gli effetti collaterali del trattamento con CSA, almeno nel breve-medio termine, sono pochi e ben tollerati e scompaiono con la riduzione delle dosi. Una volta ottenuta la remissione il paziente può essere orientato verso un trattamento convenzionale a dosi di mantenimento di corticosteroidi o continuare il trattamento con la CSA con ciclosporinemie inferiori ai 100 ng/ml . Il Micofenolato Mofetile (MFM) alla dose di 20-40 mg/kg è stato utilizzato con successo in aggiunta ai corticosteroidi nei pazienti intolleranti alla azatioprina o resistenti alla terapia convenzionale.

    I principali effetti collaterali del MFM sono rappresentati da cefalea, diarrea, perdita di capelli e sopratutto la leucopenia.

    Trapianto del fegato

    Il trapianto di fegato può diventare una opzione terapeutica nell’EAI in particolare in due circostanze:

    1) nei pazienti, prevalentemente maschi, con esordio acuto grave o fulminante che non rispondano alla terapia di “salvataggio”;

    2) nei pazienti, per lo più di sesso femminile, con cirrosi ed insufficienza epatica terminale con scarsa o assente attività di malattia.I pazienti con EAI che beneficiano di un trapianto di fegato, rappresentano meno del 5% dei trapianti epatici pediatrici, hanno una sopravvivenza a 5 anni dell’86% e non differiscono dal gruppo non-EAI per sopravvivenza, numero, tipologia di complicanze infettive e metaboliche e frequenza di ritrapianto.

    Prognosi a lungo termine.

    La prognosi a lungo termine dei pazienti con EAI ad esordio in età pediatrica rimane incerta. Una remissione completa e di lunga durata può essere mantenuta nella maggioranza dei pazienti senza significativi effetti collaterali e con basse dosi di farmaci immunosoppressori. Una percentuale minoritaria di pazienti mantiene una remissione persistente, anche a lungo termine, anche una volta sospesa definitivamente la terapia immunosoppressiva, con evidenza di una bassa elastanza epatica. Alcuni pazienti una volta sospesa la terapia immunosoppressiva possono sviluppare patologie immunomediate anche severe (LES) anche senza recidiva della malattia epatica.

    Terapie innovative.

    In seguito al riconoscimento del difetto di regolazione dei linfociti regolatori CD25+ la ricerca si è concentrata nel tentativo di selezione e produzione di linee cellulari autologhe di cellule regolatrici CD 25+ nei confronti dei verosimili antigeni trigger.La speranza è che tali cellule siano capaci di indurre tolleranza
    e di spegnere alla radice la risposta autoimmune senza la necessità di farmaci. Per il momento è stata suggerita l’efficacia in vitro di celllule regolatrici specifiche per l’antigene CYP2D6 della EAI tipo 2

    Conclusioni
    La diagnosi di EAI deve essere sempre ipotizzata in ogni paziente con segni e/o sintomi di epatopatia acuta o cronica di causa non definita, specialmente in presenza di una patologia extraepatica di natura immunomediata. La presenza di ipergammaglobulinemia e/o di autoanticorpi circolanti è di rilevante aiuto diagnostico ed identifica almeno due forme di EAI che presentano specifiche peculiarità, anche se va considerata la possibilità di EAI sieronegative.Una rapida e completa remissione indotta con una appropriata terapia migliora la prognosi a breve e lungo termine, controllando l’evoluzione della fibrosi e anche potendo determinare una sua regressione. Questa certezza giustifica un approccio che compreda anche accertamenti diagnostici invasivi (biopsia epatica).

    Cosa si sapeva prima:

    L’epatite autoimmune è una malattia non spontaneamente risolutiva con tendenza alla recidiva ad ogni tentativo di riduzione o sospensione del trattamento. Il pilastro del trattamento è il prednisone che inevitabilmente porta con sé numerosi effetti indesiderati anche gravi.

    Cosa sappiamo adesso:

    Nel tempo si è definito il ruolo di numerosi altri farmaci quali, storicamente, l’azatioprina, ma anche, in seguito, la ciclosporina ed il micofenolato mofetile. L’obiettivo futuro è quello di poter disporre di trattamenti personalizzati capaci di indurre immunotolleranza.
    Quali ricadute sulla pratica clinica:
    Oggi, nei centri con maggiore esperienza, sono proponibili numerosi schemi terapeutici con diverse combinazioni di farmaci da adattare al singolo paziente e strategie atte a minimizazre l’impatto e la durata della terapia steroidea.
    Tratto da:Prospettive in pediatria
    mf_scotsman
    Luca



    Lascio a Gea il compito,se lo ritiene necessario,di dare un po' di colore al post(ma basta già lei per dar colore e allegria alle giornate buie....menomale che esisti)


    Edited by - Gea - 17/7/2012, 19:58
     
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  2. - Gea
     
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    User deleted


    Luca, ma questa è una vera tesi !!!!!!!!! sicuramente sarà di grande aiuto, non solo per chi vuol sapere, credo anche per alcuni studenti che studiano la materia e ho visto visitare il forum.
    Ho cambiato solo un po' la graficashy per renderla più visibile......sai bene che mi metti all'imbarazzo, però so benissimo che ti viene dal cuore kissing
     
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1 replies since 17/7/2012, 17:33   2583 views
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