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Coinfezione HIV/HCV, quali sono i fattori predittivi di risposta al trattamento?

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  1. frates1954
     
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    05 aprile 2014

    Coinfezione HIV/HCV, quali sono i fattori predittivi di risposta al trattamento?

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    Il trattamento con interferone pegilato e ribavirina è efficace nella coinfezione HCV/HIV in pazienti naive all’interferone. Questo risultato deriva da uno studio clinico multicentrico italiano pubblicato sulla rivista Antiviral Therapy, in cui gli autori hanno anche evidenziato l’influenza di fattori indipendenti predittivi della SVR come il genotipo HCV, i livelli di RNA non misurabili al basale e i livelli di RNA per l’HCV inferiori alle 500.000 IU/ml.

    I pazienti coinfetti con HIV e HCV hanno minor probabilità di sopravvivenza rispetto ai monoinfetti con HCV. L'infezione da epatite C è la causa principale di morte collegata al fegato nei soggetti con immunodeficienza acquisita.

    Diversi studi hanno analizzato l’effetto del trattamento con interferone pegilato (PEG-IFN) e ribavirina (RBV) ma con risultati eterogenei. In nuovi antivirali ad azione diretta (DAA) hanno aumentato le percentuali di SVR sia nei pazienti con la monoinfezione sia nei coinfetti HIV/HCV. Purtroppo quando si parla di coinfezione mancano molti dati.
    A tal proposito lo studio “Optimized pegylated interferons efficacy and anti-retroviral approach”, OPERA ha documentato la routine nella clinica e il trattamento dei pazienti con coinfezione HIV/HCV. Sono stati soprattutto recuperati dati sulla vita reale e valutate la sicurezza e l’efficacia del regime PEG-IFN in pazienti naive all’interferone e con doppia infezione cronica HIV/HCV.
    Lo studio ha coinvolto diversi Dipartimenti di Malattie Infettive italiani tra cui quello dell’Ospedale Niguarda Cà Granda di Milano nella persone del Prof. Massimo Puoti.
    Lo studio è stato di tipo multicentrico, prospettico, osservazionale e ha coinvolto 98 centri di riferimento italiani. I pazienti avevano un’infezione da HIV stabile e in trattamento con terapia antiretrovirale.

    I partecipanti sono stati trattati con PEG-IFN alfa-2a (82.6%) o alfa-2b (17.4%) e con RBV in capsule o compresse a seconda del parere medico.
    L’endpoint primario era rappresentato dal raggiungimento della SVR definita come livelli di RNA per l’HCV nel siero inferiori a 50 IU/ml alla fine delle 24 settimane di follow up.
    L’endpoint secondario era rappresentato dalle percentuali di risposta virologica rapida (RVR), risposta virologica precoce (EVR) e risposta alla fine del trattamento (EOT).
    Lo studio è stato condotto tra aprile 2008 e marzo 2011 e ha incluso 1523 pazienti arruolati tra tutti i 98 centri di riferimento coinvolti. In media sono stati arruolati 340 pazienti per anno. L’età media era di 42 anni, per la maggior parte uomini (75.3%) e caucasici (98.7%). I livelli di HCV erano superiori alle 500.000 UI/ml nel 65.8% dei pazienti, il 56.7% erano infetti con HCV genotipo 1 o 4. La carica virale per l’HIV invece non era misurabile nel 69.9% dei pazienti.

    Il 21.5% dei pazienti aveva almeno un altro disturbo soprattutto di metabolismo o disordini nutrizionali ma anche problemi psichiatrici. Il 17.1% dei pazienti assumeva anche altri farmaci soprattutto per disturbi cardiovascolari, sistema nervoso ed antidepressivi.
    La dose iniziale di PEG-IFN alfa-2a è stata di 180 microg/a settimana nel 96.3% dei pazienti mentre quella di PEG-IFN alfa-2b è stata di 1.47±0.20 microg. La dose iniziale di RBV è stata di 800 mg/al giorno nel 31.3% dei pazienti, mentre per il restante 66.2% è stata di 1000-1200 mg/al giorno. La dose dipendeva soprattutto dal genotipo, più alta per i genotipi 1 e 4 e più bassa nel 2 e 3. Ogni centro ha utilizzato un dosaggio leggermente differente di RBV e con una dose che è aumentata negli anni dello studio.

    Il trattamento ha avuto una durata media di 44 settimane, le linee guida uscite negli anni durante lo studio suggerivano un periodo più lungo di trattamento fino alle 72 settimane.
    Il 49.8% dei pazienti ha completato il trattamento ed il periodo di follow up, un’altra metà ha abbandonato lo studio per mancanza di efficacia, effetti collaterali, mancata compliance, ricadute ed altro.
    I risultati hanno mostrato una diminuzione della conta dei CD4+ in seguito al trattamento, ma non statisticamente significativa tra pazienti che avevano raggiunto l’SVR o meno.
    La percentuale dei pazienti con RNA per l’HCV non misurabile al basale era di 71.2%, all’EOT di 79.3% e all’EOS di 76.8% (p<0.0001).

    Il risultato principale era la SVR che è stata raggiunta dal 40% dei pazienti; le percentuali più alte sono state viste nei pazienti con genotipo 2 e 3 (68.3% e 56.5%, rispettivamente con p=0.0785) mentre per i genotipi 1 e 4 le percentuali sono state 27.4% e 22.9%, rispettivamente (p=0.2644).
    I pazienti con genotipo 2 e 3 hanno raggiunto con una percentuale maggiore la risposta virologica rapida e precoce ma anche quella alla fine del trattamento. Inoltre, sono state osservate percentuali di SVR più alte nei pazienti con compliance al trattamento ≥ dell’80% e più bassi livelli di HCV al basale.

    Le SVR erano simili tra pazienti che erano in trattamento con farmaci antiretrovirali prima dell’inizio dello studio ma anche in pazienti che hanno cominciato questo trattamento in contemporanea alla partenza del presente lavoro rispetto a pazienti non in trattamento con tali farmaci (38.96% vs 43.19%, p=0.1902), suggerendo che la SVR è dipendente solo dall’efficacia della terapia antiretrovirale e non dalla esposizione. I fattori predittivi dell’SVR in pazienti naive all’interferone e che ricevevano antiretrovirali sono risultati gli stessi della popolazione generale: RNA per l’HCV ≤500.000 UI/ml, genotipo 2 e 3, livelli di RNA per l’HIV non misurabili al basale e compliance al trattamento con la ribavirina superiore all’80%. Inoltre, sono risultati predittivi per la SVR in pazienti che ricevevano antiretrovirali la giovane età, livelli più bassi di gamma glutammiltransferasi, durata più lunga del trattamento con anti-HCV.
    Alla fine del trattamento sono risultati responsivi il 43.1% dei pazienti e di questi il 75.6% ha raggiunto una SVR. Le ricadute tra la fine del trattamento e la fine dello studio sono state del 24.4%, più alte per il genotipo 1 e 4 (31.7%) rispetto ai genotipi 2 e 3 (19.3%).

    La metà dei pazienti ha avuto almeno un effetto avverso (EA) per un totale di 1346 eventi riportati di cui 128 severi; nella maggior parte si è trattato di neutropenia e anemia.
    In 14 pazienti è stato modificato il trattamento per EA e 54 lo hanno interrotto. Due persone sono decedute ma tali morti sono state non correlate al trattamento.
    In conclusione, gli autori hanno sottolineato che i risultati trovati in questo studio e relativi alla vita reale non differiscono molto da quelli trovati in studi sperimentali nelle persone con HCV ed HIV. E’ importante considerare che meno del 50% dei pazienti ha ottenuto una SVR, quindi, gli autori suggeriscono l’implementazione dei nuovi agenti antivirali ad azione diretta per il trattamento della coinfezione per aumentare le percentuali di eradicazione del virus dell’HCV e aumentare la sopravvivenza dei pazienti coinfetti. Inoltre, bassi livelli di carica virale per l’HCV al basale, alta compliance verso gli anti-HCV, genotipo 2 e 3 e una efficace terapia simultanea antiretrovirale sono predittivi di un aumento della risposta al trattamento.

    Emilia Vaccaro

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